Nell’altopiano anatolico, su una pianura vicino all’odierna città turca di Konya, esisteva 8.500 anni fa il primo villaggio di notevoli dimensioni, un agglomerato urbano unico nel suo genere, la città neolitica di Çatalhöyük che, nel periodo di massima espansione, ospitava dai 5.000 ai 7.000 abitanti, il centro abitato più rilevante di quel periodo.
Fu scoperta da James Mellaart negli anni Cinquanta del secolo scorso, quasi per caso.
L’archeologo inglese aveva cominciato a scavare la pianura di Konya, l’antica città Iconium dei Romani, citata nella Bibbia perché vi aveva predicato l’apostolo Paolo.
Ad Iconio, secondo l’abitudine, essi si recarono alla sinagoga ebraica
Atti degli Apostoli, 14
Ben presto Mellaart si rese conto di trovarsi davanti una città preistorica, un impressionante insediamento di 13 ettari di superficie, che i suoi assistenti turchi chiamarono Çatalhöyük, cioè “collina dell’incrocio”, perché a nord di essa c’era un incrocio stradale che costituiva un punto di riferimento.
Gli archeologi individuarono ben presto la presenza di 10 strati, che segnavano altrettanti livelli di occupazione umana. Il più recente risaliva al 5.800 a.C, mentre il più antico al 6.500 a.C.
Negli strati dal II al X, furono trovati 63 templi o santuari, contro un totale di 103 abitazioni.
Una singolare Urbanistica
La “città” era costruita secondo una logica completamente diversa da quelle moderne: le case erano monocellulari, addossate una all’altra ed avevano altezze diverse. Gli abitanti si spostavano passando da un tetto ad un altro e per molte case l’ingresso su quest’ultimo era l’unica apertura.
La circolazione da una casa all’altra, avveniva a livello delle terrazze, nonché gran parte delle attività domestiche.
L’assenza di aperture verso l’esterno, nonché di porte a livello del terreno, difendeva la comunità dagli animali selvatici e dalle incursioni di popolazioni confinanti; l’unica via d’accesso all’intero complesso erano scale che potevano facilmente essere ritirate in caso di pericolo.
Le costruzioni, elevate con l’ausilio di mattoni squadrati seccati al sole ed aventi misure standardizzate, risultano essere tutte perfettamente intonacate.
La ricostruzione degli arredi e delle abitudini domestiche fu cosa agevole per gli archeologi, anche grazie alla ricca presenza di reperti riscontrata.
Ma la testimonianza più importante la rivelarono gli affreschi e l’arredo delle sale che gli studiosi definirono “templi”, ossia quei luoghi destinati alle celebrazioni rituali, ovviamente più generosamente decorati delle abitazioni, soprattutto con pareti dipinte con soggetti carichi di simbolismi, come avvoltoi, figure umane, rilievi in stucco, rappresentazioni stilizzate della divinità nell’atto di partorire, dee o donne affiancate da divinità guardiane, molti bucrani, file di corna, teste di animali.
Una città di natura unica, non fortificata ma ad ogni modo protetta sapientemente dall’unico muro che la includeva perimetralmente, un alveare, dove seimila/ settemila abitanti manifestavano una civiltà evoluta, coltivavano almeno quattordici specie di vegetali: dal frumento, all’orzo, ai legumi, producevano bevande fermentate e allevavano bestiame e api.
Reperti straordinari
Çatalhöyük è un caso unico, ricco di reperti che sono considerati veramente inusuali per la cultura dell’epoca e che rivelano conoscenze tecniche e capacità produttive incredibilmente progredite.
Tra gli oggetti più incredibili, d’uso quotidiano è stato rinvenuto un portauovo in legno di abete identico ai nostri, specchi di ossidiana perfettamente spianati e rettificati ed infine lucidati con qualche pasta abrasiva che ne aveva reso la superficie perfettamente lucida.
Collana d’agata
Ma l’oggetto più incredibile è sicuramente una collana d’agata trovata nelle vicinanze, composta da 10 pietre e forata per fare passare il filo: il foro ha un diametro di 7 mm.
L’agata è una delle pietre più dure, 7 grado della scala Mohs, ed oggi simili fori, in simili materiali, si fanno solo con punte di trapano molto speciali, al carbonio tungsteno, rivestite con polvere di diamante.
Un tessuto vecchio 8.000 anni
Nel VI strato, che risale circa al 6.000 a.C., ci sono evidenti segni di un incendio o di un evento catastrofico, forse un’eruzione vulcanica, che distrusse l’intera città, costringendo la popolazione a spostarsi più a ovest, fondando così un nuovo centro urbano.
Tra i resti carbonizzati di alcune abitazioni furono trovati brandelli di stoffa, con frange e cordoncini, tessuti con lana d’angora, è tutto ciò che restava di un abito molto prezioso a strisce, ai cui orli erano appesi piccoli cilindri di rame, mentre le stoffe erano abbellite con disegni impressi con la tecnica della stampa.
Stranamente nelle case non furono trovati arcolai, telai, fusi o tinozze per tinture.
I tappeti ancestrali
Çatalhöyük rappresenta per la tappetologia il sito archeologico contenente le più antiche testimonianze pittoriche di tappeti annodati, quelli ancora oggi chiamati Kilim.
Gli affreschi ritrovati sulle pareti sono stati identificati dagli esperti, come progetti di tappeti “kilim” nella loro interezza, non solo nei simboli, ma anche nell’ordine in cui erano disposti. Tappeti disegnati dunque, e sostanzialmente, analoghi agli attuali kilim.