Dal cielo di una calda notte d’estate, in una Gerusalemme di tanti anni fa…
Gerusalemme, 6 Tammuz, 3753, (14 Agosto dell’8 a. C.), 4 anti-meridiane.
Il “Gadol Cohen” (Gran Sacerdote) si svegliò presto quella notte e volle riguardare ancora una volta quello spettacolo nel cielo che già aveva ammirato la sera prima. Uscì dall’”Ulam” (“Porticato”) del Tempio, in quell’afosa serata estiva, scandita dalle folate di un vento caldo, passando accanto alle colonne “Boaz” e “Jachin”. Uscì sulla spianata del Tempio ed il suo sguardo, dopo aver superato, alla sua sinistra, lo “Iam Mutzach” (il “Mare di Bronzo”), si diresse verso il cielo, con un moto di devoto rispetto, “le-Qedem” (verso est).
Il sole sarebbe sorto in quel punto soltanto 2 ore più tardi, ma qualche pallida luce iniziava già ad annunciare timidamente l’alba. Lì, poco più in alto della linea dell’orizzonte, si posò il suo sguardo, su quel punto del cielo chiamato dagli astronomi del suo paese “Sartan” (costellazione del Cancro). Quasi al centro di questo settore, gli avevano insegnato, c’era un punto divino, davvero importante per tutti loro e per il Creatore. Era un piccolo e ristretto agglomerato grigio di stelle (Ammasso stellare aperto M44 o NGC 2632), dalla luce fioca e lontana, chiamato “Shar Aischim” (“Porta degli uomini”). Era quasi un punto, gli aveva spiegato il suo vecchio maestro rabbi, in cui la volta celeste era più sottile e le anime degli uomini scendevano tutti i sette cieli, provenienti dal “Magazzino delle Anime”, per incarnarsi nei loro corpi, seguendo i dettami della “Shevirat Ha-Kelim” (“Rottura dei Vasi”), soltanto per volere del Creatore.
Due piccole fioche stelline (la Gamma e la Delta Cancri) erano poste ai lati della “Porta”, una un po’ a nord e l’altra un po’ più a sud, quasi a sorvegliarne e custodirne con rispetto il sacro accesso. Con umiltà pensò che anche la sua anima aveva fatto un giorno quello stesso tragitto, ed i suoi occhi brillarono di commozione, ma ricordò anche che, spesso, alcuni corpi celesti (Pianeti) vi finivano ‘dentro’ nel corso dell’anno. E quello, per tutti loro, era sempre un grande momento per onorare la magnificenza del Creatore. Anche quella sera stava succedendo quel momento meraviglioso e davvero speciale: il rosso “Maadim” (Marte) era proprio dentro alla “Porta”, ma c’era anche di più.
La bianca “Nogah” (Venere) era posto un poco più a sud, ma davvero molto vicina alla “Shar Aischim” ed a “Maadim” che vi stava dentro in quel momento. Quello era un presagio nel cielo che sembrava fatto apposta per segnalare un evento davvero speciale, da ricordare per tutti loro, e che era stato scritto per sempre fra le stelle.
Il bambino nato da poco, egli pensò con trepidazione, era salutato con rispetto dal Creatore, che aveva posto, quasi solo per lui, questo segno nel cielo. Tutti loro speravano che il re nato sotto questi auspici, quasi come un “Moschiach” (“Messia”) terreno, potesse trarli dalle angosce degli ultimi secoli, per ridare finalmente onore e gloria al Trono di Israele, che da troppo tempo languiva nell’indifferenza e mancava di dignità e di orgoglio… Si bagnò le labbra disidratate dall’emozione e, con il cuore che palpitava, si diresse di nuovo verso la scalinata del Tempio, con rinnovata energia e speranza di un nuovo “Olam Ha-Tikkun” (“Mondo della Riparazione”).
…alle nostre case, dal 1223 fino ad oggi.
Frequenti erano state, in periodo alto-medievale, le raffigurazioni pittoriche, sia di scuola alessandrina, che bizantina, che occidentale del momento della nascita di Gesù, che seguivano il canovaccio della scena proposta dai Vangeli. In esse la Madonna, compariva quasi sempre alla sinistra dell’osservatore, spesso in postura sdraiata, mentre Gesù bambino, in posizione centrale, era posto dentro la “Mangiatoia”. Il bue e l’Asino erano collocati alle spalle della coppia, mentre San Giuseppe, stranamente, era posto all’esterno della “Stalla”, secondo la tradizione occidentale, o della “Grotta”, secondo quella orientale, od, addirittura, non compariva proprio.
Antiche immagini della Natività ove si nota la Madonna sdraiata, posta sempre a sinistra dell’osservatore, con la Mangiatoia con Gesù bambino all’interno, collocato al centro, od a destra, in prossimità del bue e dell’asino. San Giuseppe è assente od è presente, con un’espressione preoccupata o triste, ma sempre all’esterno della Grotta, ove sono posti la Madonna con il bambino.
La rievocazione vivente della nascita di Gesù bambino vide la luce nel 1223, ad opera di San Francesco che la pose in opera non troppo distante dal paese di Greccio, in provincia di Rieti. Egli lo chiamò “Presepe”, e da allora così venne sempre appellato.
Anche noi, dopo quasi 800 anni di una sentita ed ininterrotta tradizione, lo creiamo ogni anno, quasi come fosse una ri-evocazione, a metà fra storia e religione. Con uno spirito mistico e tenero, ogni famiglia cristiana lo ri-plasma e gli dà vita, come se ognuna fosse un regista di uno spettacolo della Vita, che va avanti da quasi 2000 anni, in cui ognuno di noi si comporta come un piccolo Creatore dell’evento stesso.
La tradizione non scritta, ma non per questo meno viva e rigidamente rispettata, del Presepe ci dice che il fulcro di tutta la scena è la “Mangiatoia”, collocata all’interno di una “Stalla”, od in una “Grotta”, in cui non si pone il “Bambino”, finché non si giunge al 25 dicembre.
La Madonna, in accordo con la precedente trazione iconografica, viene posta alla sinistra dell’osservatore. San Giuseppe, in questo caso presente, viene collocato, ovviamente, alla destra dell’osservatore, mentre il “Bue” e l’”Asinello” (con il diminutivo, voluto dal Santo, divenuto davvero proverbiale per questo animale) sono posti dietro queste tre figure, in secondo piano, per rispetto alle tre figure principali.
Perché abbiamo questa rigida disposizione iconografica di codesta rappresentazione sacra, in sostanziale suffragio delle precedenti raffigurazioni sacre, quando i Vangeli, sia quelli canonici, che quelli apocrifi, non sono così ricchi di dettagli? Dove aveva appreso San Francesco queste informazioni iconografiche così precise, successive al suo viaggio in Egitto, nel corso della 5a Crociata, alla corte del sovrano islamico Al-Malik al-Kamil (“il Re, il Perfetto”), presso il quale il santo si era trattenuto, per quasi 50 giorni, a Damietta, nel 1219, conversando più volte con i saggi ed eruditi che allietavano la corte del sovrano.
Due dipinti di Giotto che mostrano lo storico incontro fra San Francesco ed il sultano Al-Malik al-Kamil.
Le ragioni di queste precise scelte, forse, devono essere, incredibilmente, ricercate proprio in quell’immagine del cielo di molti, molti anni prima, …in una calda notte d’estate, nel cielo di Gerusalemme.