Nel 1961 uno straordinario tesoro dell’età del rame fu scoperto dall’archeologo israeliano Pessah Bar-Adon in una grotta a Nahal Mishmar, vicino al Mar Morto. Circa 5.500 anni fa, 442 oggetti rituali furono avvolti in una stuoia di paglia, nascosti in una fessura naturale, quindi bloccati da un immenso masso, ma rimaneva un mistero chi potesse essere stato.
Sull’onda di questa straordinaria scoperta furono riconsiderati i ritrovamenti nei dintorni ed in particolare un edificio del periodo calcolitico, meglio conosciuta come Età del Rame, ad Ein Gedi, a 7 miglia da Nahal Mishmar.
Il tempio
Il tempio e la sorgente di Ein Gedi si trovano a metà altezza sulla facciata di una scarpata quasi verticale, che corre parallela al lato occidentale del Mar Morto e segna il bordo dell’altopiano del deserto della Giudea. Un’ampia terrazza rocciosa si proietta sopra la sorgente e vicino al passo che sale dal deserto fino alla cima della rupe e all’altopiano che offre una vista mozzafiato sul Mar Morto.
Il complesso sacro conteneva quattro strutture collegate tra loro da una recinzione di pietra, che racchiudeva un cortile centrale. La parte inferiore di tutte le strutture è stata costruita in pietra e le pareti sono state fondate sulla roccia vergine. La parte superiore delle pareti era molto probabilmente in mattoni di fango. Il tetto era costruito con canne, rami e fronde di palma, probabilmente fissate su travi di legno poste sui muri delle strutture.
Di particolare interesse è un piccolo frammento di intonaco, lungo 2,7 cm, decorato con bande ondulate rosa e blu scuro su uno sfondo bianco. Questo ritrovamento suggerisce che parti delle pareti delle strutture – forse persino l’intero complesso sacro – erano intonacate.
La prima struttura era l’entrata principale, dal lato opposto alla sorgente Ein Gedi. Conteneva una stanza con due ingressi: uno esterno e uno interno. L’ingresso esterno si affacciava sul bordo superiore del pendio che saliva dalla sorgente alla terrazza rocciosa. Una cavità nella pietra della soglia apparentemente fissava la cerniera di una porta di legno. L’ingresso interno, che non aveva una tale cavità, si apriva sul cortile centrale del tempio. Furono costruite panchine di pietra lungo le pareti della stanza, probabilmente per comodità di preti e credenti che arrivavano al tempio.
La seconda struttura era un’entrata situata dall’altra parte del complesso del tempio. La sua struttura aveva un unico ingresso, ma – sorprendentemente – non c’era una cavità nella pietra per fissare la cerniera di una porta.
La terza struttura, etichettata come “la stanza laterale”, era probabilmente un servizio o un ripostiglio usato dai sacerdoti. Un sentiero lastricato conduceva al suo ingresso, in cui fu trovata di nuovo una cavità nella pietra per fissare la cerniera di una porta. Non ci sono stati ritrovamenti che aiutino a capire la funzione di questa stanza.
La quarta struttura, la più grande e importante, era il santuario stesso. Era una sala rettangolare, che misurava all’esterno 19,7 m per 5,5 m. L’ingresso al santuario, che si affacciava sul cortile, era al centro del lungo muro. La soglia rialzata conteneva la solita cavità nella pietra per fissare la cerniera di una porta di legno. Di fronte all’ingresso era posto un altare semicircolare, i suoi bordi delimitati da una linea di blocchi di pietra con una faccia superiore piatta. L’altare fu trovato pieno di ceneri, alcune ossa di animali e una figurina di argilla rappresentante un toro che porta due zangole. Al centro dell’altare stava una grande base rotonda, realizzata in pietra calcarea dura non disponibile nelle immediate vicinanze del tempio.
Si può presumere che la scultura della divinità o il principale simbolo di culto si trovasse su questa base di pietra. Lungo le pareti del santuario c’erano panchine di pietra e al suo centro furono erette panchine aggiuntive o tavoli per le offerte.
Alle due estremità del santuario erano stati scavati un gran numero di pozzi o favisse, e vi furono gettati i resti delle offerte di culto portate al tempio. Oltre alle ossa, le favisse contenevano ceramiche ghassuliane.
Al centro del cortile, di fronte all’ingresso del santuario stava un’installazione circolare. Al suo centro c’era una vasca rotonda, 90 cm di diametro e 40 cm di profondità, i cui lati erano fatti di lastre di pietra disposte verticalmente, appoggiate sulla roccia. Accanto all’installazione circolare è stato ritrovato un frammento di un vaso cilindrico in alabastro con un fondo piatto. Questo vaso, originario dell’Egitto, è il primo del suo genere mai scoperto a Canaan. La vasca, che doveva essere intonacata, apparentemente era usata per contenere l’acqua portata dalla sorgente di Ein Gedi per le attività di culto del tempio. Questa interpretazione è supportata dalla scoperta di uno sbocco di un drenaggio incorporato nella recinzione di pietra che circonda il cortile. Il canale che conduceva allo sbocco non si è conservato, ma doveva servire a drenare l’acqua nell’area esterna al complesso sacro.
Il culto del santuario
La posizione del tempio offre indicazione sui rituali di culto che vi si svolgevano. L’ingresso principale è rivolto verso la sorgente di Ein Gedi e il secondo ingresso è rivolto verso la sorgente di Nahal David. Ne consegue che il culto del tempio era associato all’acqua e alle sorgenti. In effetti sono state trovate diverse rocce con undici segni a forma di coppa scolpiti sulla loro superficie vicino alla sorgente Ein Gedi, che testimoniano le attività di culto svolte.
Per quanto riguarda la ceramica sono di particolare interesse i corni, che sono il tipo di vasi più diffusi nel tempio. Sono state contate circa duecento corni. La funzione di questo tipo di vaso ghassuliano non è chiara, soprattutto perché i corni non potevano stare eretti sulle loro basi appuntite ma poiché sono stati trovati nel tempio, sembrano aver avuto uno scopo cultuale.
Recentemente è stato scoperto che i corni provenienti dal tempio di Ein Gedi, contenevano cera d’api e pertanto c’è la possibilità che fossero usati come candele per l’illuminazione, anche se è una teoria difficile da accettare poiché non sono stati individuati resti di fuliggine.
Il tempio serviva come luogo di pellegrinaggio dalle regioni vicine e lontane, ed anche per le tribù nomadi.
Non è stata rilevata alcuna indicazione di una distruzione intenzionale del tempio; sembra essere stato abbandonato dai suoi guardiani. Col passare del tempo, le parti in legno, come le porte e le travi del tetto delle strutture trascurate si sono completamente decomposte, l’intonaco dipinto e i mattoni di fango si sono sbriciolati e si sono sciolti sotto le piogge invernali e i detriti di mattoni di fango hanno infine coperto le parti inferiori delle pareti costruite in pietra.
Sorprendentemente, quasi nessun indizio è stato scoperto nello scavo del tempio, ad eccezione di ceramiche rotte e ossa di animali gettate nelle favette del santuario per cui si può presupporre che l’edificio fu abbandonato in modo ordinato e sistematicamente ripulito dai suoi guardiani che portarono con sé tutti gli allestimenti.
Fonte:
David Ussishkin, The Calcolithic Temple in Ein Gedi: fifty years after its discovery