Dopo aver iniziato ad analizzare le fonti storiche sulla Piramide nel primo articolo e continuato con il secondo articolo, proseguiamo le nostre analisi sulla Piramide.
Ci domandiamo, a questo punto delle nostre ricerche, come vedevano l’Egitto gli altri popoli dell’antichità?
Il nome ebraico dell’Egitto
Come ci informa l’egittologo Boris de Rachewiltz (I miti egizi, TEA, pag. 241), il termine ebraico, usato per indicare l’Egitto è מצרים, Mitsraim, forma plurale o duale della parola ebraica מצור, Matsor, che significa Bastione, fortezza, torre, torre d’assedio. Perciò, l’Egitto era chiamato dagli ebrei la Terra delle due torri.
Queste 2 torri, evidentemente e significativamente alte e poderose, erano considerate dagli altri popoli confinanti con l’Egitto, com’era il caso degli Ebrei, di fondamentale importanza ed erano intese come simbolo dell’intera terra attraversata dal Nilo.
D’altro canto, l’egittologo inglese Ernest Alfred Thompson Wallis Budge, nel suo Egyptian Hieroglyphic Dictionary (pag. 338, colonna B), ci riferisce che il termine egizio Metch(dj)er, era connesso ad un muro o ad un edificio correlato ad una torre, tant’è vero che il quasi omologo termine Metch(dj)eri, significa, appunto, Torre, forte (fortificazione). Per Budge tale parola costituisce la radice della parola ebraica Matsor, per cui, il nome Mitsraim, egli afferma:
“Potrebbe essere stato dato all’Egitto in relazione ad una duplice costruzione (muro o torre).”
Ma in passato il loro aspetto avrebbe potuto anche essere diverso. Infatti i testi neo-babilonesi usavano il termine Mizraim per definire l’Egitto. Il nome era, ad esempio, inciso sulla Porta di Ishtar di Babilonia, mentre iscrizioni ugaritiche canaanee si riferiscono all’Egitto come Mṣrm, nel XIV secolo a.C.
Nelle lettere di Amarna, inerenti la corrispondenza dei faraoni Amen Hotep III ed Amen Hotep IV (Akhen Aton) con i popoli vicini, scritte in accadico, lingua diplomatica dell’epoca, ed in caratteri cuneiformi, l’Egitto è chiamato Misri, mentre nei registri assiri esso è appellato Mu-ṣur. La parola araba classica per Egitto è Miṣr/Miṣru, nome che si riferisce all’Egitto nel Corano, sebbene il termine stesso sia pronunciato come Maṣr, nella lingua araba colloquiale, parlata in Egitto.
In mancanza di altre attribuzioni significative di “Torri, baluardi, bastioni”, così importanti da fornire il nome ad un’intera vasta regione, l’Egitto, l’unica spiegazione possibile su quali fossero queste “Due torri” potrebbe ricadere sulla 2 piramidi maggiori, poste sulla piana di Gizah.
Il fatto è che la forma di queste enormi costruzioni, ORA non richiama per nulla l’aspetto di una torre.
Già! Ora!
Ma in alcuni antichi testi di matrice ebraica troviamo strani riferimenti proprio ad una torre alta e con una insolita disposizione architettonica.
Nel Libro di Enoch etiopico (cap. 22, 1-2), infatti, leggiamo:
“E quindi io (Enoc) giunsi in un altro luogo ed egli (Uriele) mi mostrò in occidente, un’altra alta e grande torre di dura roccia di granito. E vi erano in essa 4 cavità vuote, profonde, ampie e molto levigate. 3 di esse erano buie e 1 luminosa ed in essa vi era una vasca di acqua proprio nel mezzo. E io dissi: “Come sono lisce queste cavità e profonde e scure alla vista!””
Esaminiamo le informazioni presenti in questo passo del Libro di Enoch etiopico.
Per i popoli di stirpe fenicio-canaanea, come gli ebrei, il paese dell’Occidente era, quasi per definizione, l’Egitto.
Il fatto che la “Torre” descritta in questo passo del Libro di Enoc sia proprio di granito, contenente al suo interno 4 cavità (non camere, quindi, dalla cubatura più ampia), di cui una contenente una vasca, presenta delle strane somiglianze con la Camera del Re e con le ‘cosiddette’, definite erroneamente dagli egittologi Camere di scarico, all’interno della Grande Piramide.
Appare del tutto evidente che una possibile somiglianza non significa una corrispondenza, tuttavia la Camera del Re ha pareti interamente costituite da granito liscio e levigato, con un’entrata che, se fosse immaginata come libera dalla costruzione che le grava intorno, lascerebbe passare la luce, e con un sarcofago al suo interno.
Come hanno recentemente evidenziato gli studi di Corrado Malanga, sulle pareti di granito della Camera del Re, fino ad una certa altezza, vi sono tracce di un misterioso contatto ripetuto di acqua sul granito e sulle pareti esterne del sarcofago. Per cui la presenza di una vasca di acqua, qui, potrebbe essere TEORICAMENTE plausibile.
La Camera del Re presenta, inoltre, 3 locali sovrastanti (Camere di Davison, Wellington e Nelson), dall’altezza molto bassa, bui al loro interno, in cui le pareti nord e sud, il pavimento ed il soffitto sono costituiti da granito (le restanti pareti est ed ovest, invece, sono costituite da calcare). In questi locali il pavimento ha una superficie irregolare, mentre le pareti ed il soffitto appaiono lisci e levigati.
La sovrastante Camera di Arbuthnot, invece, ha soltanto il pavimento (con aspetto irregolare) ed il soffitto fatti di granito, mentre tutte e 4 le pareti risultano costituite da calcare. Infine, la Camera di Campbell, la più alta, ha soltanto il pavimento di granito.
Quindi potremmo ipotizzare che, in linea teorica, nell’ipotetico paragone con la descrizione del Libro di Enoch, vi siano 4 locali, sostanzialmente costituiti, per larga parte, proprio da granito..
Di questi locali uno era ampio, con una vasca al suo interno, con un’apertura verso l’esterno, e risultava tutto rivestito da granito, (4 pareti + soffitto + pavimento) eventualmente corrispondente alla Camera del Re.
Gli altri 3 locali, invece, erano tutti bui, di altezza limitata, con il pavimento, il soffitto e 2 pareti su 4, costituite da granito.
D’altro canto, anche l’egittologo inglese Petrie, a proposito delle tecniche usate per gestire i 2 diversi materiali usati nella Grande Piramide, ebbe a dire:
“Fra la parte in granito e quella in calcare esiste una grande differenza per quanto riguarda la precisione e le tecniche lavorative.”
Il grande studioso e fisico Isaac Newton stabilì, inoltre, che la Grande Piramide era stata costruita con 2 unità di misura, come se 2 diversi costruttori avessero lavorato all’immenso monumento. La parte più importante e più sacra, tutta in granito, era stata realizzata secondo il cubito sacro (52,36 cm), molto spesso utilizzato come unità di misura costruttiva nei grandi templi egizi, mentre la restante parte, in calcare, era stata realizzata mediante il cubito ‘normale’ (44,7 cm).
Le dimensioni della Camera del Re, infatti, sono di 10,47 metri di lunghezza x 5,234 metri di larghezza e 5,974 metri di altezza.
Questo significa che le dimensioni di questo locale erano di 20 cubiti reali di lunghezza (con un’eccedenza di soli 2 cm) x 10 cubiti reali di larghezza (ancora con un’eccedenza di 2 cm) x 11 cubiti reali di altezza (ancora con un’eccedenza di 2 cm).
Particolare strano, scoperto da Giovan Battista Caviglia, nel breve periodo in cui egli aveva lavorato per il colonnello Howard Vyse, dietro le lastre di granito che costituiscono le pareti della Camera del Re, vi erano dei blocchi di calcare posti a pochi cm da quelli di granito, senza, tuttavia, avere il contatto con esso.
D’altro canto, esiste una netta differenziazione nelle dimensioni delle varie tipologie di blocchi di calcare, rispetto alle dimensioni ed al peso dei blocchi di granito, tutti usati nella costruzione della Grande Piramide, ma anche nella quantità di questi diversi blocchi.
Come ha evidenziato l’architetto Marco Virginio Fiorini, all’interno della Grande Piramide sono compresi 3 tipologie di blocchi, usati per la sua costruzione. Il 90% comprende blocchi di calcare delle dimensioni vicine al singolo metro cubo ed un conseguente peso che oscilla fra 800 e 1.200 Kg, mentre l’8% comprende blocchi di calcare più grandi, compresi fra 1 e 3 metri cubi, per un peso compreso fra 1.200 e 4.000 Kg.
Un minima quantità, tuttavia, corrispondente a solo il 2% del totale, riguarda blocchi di granito delle dimensioni comprese fra 10 e 28 metri cubi e del peso oscillante fra 25 e 70 tonnellate.
Appare chiaro, perciò, come suggerito dal paragone con la massa corporea di un singolo operaio egizio, che il 98% (90% + 8%) dei blocchi di calcare presenti all’interno della Grande Piramide, sarebbe stato più o meno facilmente gestibile da un numero più o meno contenuto di operai.
Tuttavia, le enormi dimensioni ed il peso proibitivo dei blocchi di granito, che costituivano il 2% del totale dei blocchi, creavano dei grossi problemi per riuscire a movimentarli.
Tali pesanti e voluminosi blocchi, infatti, non erano affatto trasportabili da uomini, seppure in gran numero, ma che lavoravano soltanto con corde e rulli di legno. Questo 2% di blocchi, perciò, molto verosimilmente, era pre-esistente sulla piana di Gizah, messo in asse ed ‘in situ’ in tempi e con tecnologie diverse da quelle del tempo in cui, invece, avevano lavorato gli operai egizi.
Abbiamo parlato della potenziale esistenza di una “Torre”, contenente, al suo interno 4 locali, secondo le fonti documentali di matrice ebraica. Ma ci sono altri autori che hanno parlato di una struttura a Torre, strettamente connessa alla Grande Piramide?
La risposta è affermativa.
Un estroso ed eclettico …vecchietto
Mario Pincherle (1919-2012) è stato autore di una apparentemente strana teoria sulla presenza di una sorta di Torre, posta all’interno della Grande Piramide. Quest’ipotesi, anche se accompagnata da molte altre teorie dell’estroso e vulcanico autore, che appaiono molto fantasiose ed, in pratica, destituite di ogni fondamento, appare interessante per gli accostamenti che esso ha con alcuni aspetti della cultura egizia. Tale ipotesi si basa sull’esistenza di una sorta di edificio stretto e relativamente alto, che ha l’aspetto di una Torre e che ingloberebbe, nella sua parte superiore e terminale, la Camera del Re con i suoi locali sovrapposti.
Questa Torre è chiamata da Pincherle Zed, allitterazione della pronuncia Djed, o Tched, che gli egittologi hanno dato a questo simbolo. Come ci informa Wallis Budge (Egyptian Hieroglyphic Dictionary, pag. 913 B e 914 A ), il simbolo geroglifico, singolo o duplice, di Djed ha il significato usuale, sia come verbo, che come sostantivo, di Essere stabile, permanente, fermo, duraturo, o Stabilità e, talora, compare nella triplice espressione idiomatica, bene-augurante: Vita, Stabilità, Serenità!
Ma lo stesso Budge ci informa, in un’ideale connubio lessicale ed etnico-religioso, che il termine Djed era correlato ad un culto molto antico, risalente addirittura al periodo pre-dinastico ed esteso alla regione del Delta del Nilo. Esso riguardava un Pilastro sacro, o, meno spesso, un Tronco di un albero sacro, a volte inteso come simbolo di un rinnovato equilibrio cosmico, ipostasi, in questo senso specifico, della dea Maat cosmica od Armonia dell’universo.
Questo Pilastro doveva essere periodicamente sollevato e sistemato in piedi, ma sempre in forma stabile, per tenere fede al suo nome di essere persistente, fermo, stabile e duraturo. Tale fondamentale azione era svolta dallo stesso faraone, che, con questo suo atto rituale, rinsaldava e puntellava nuovamente il suo regno, e, di riflesso, lo stesso Egitto.
Particolare interessante è che i livelli o linee, posti nella parte superiore del pilastro Djed, non sono sempre uguali. In periodo proto-dinastico e, forse, pre-dinastico, essi sono 3, mentre in periodo tardo e tolemaico essi sono 5. Durante la maggior parte del periodo dinastico questi livelli, invece, sono 4.
Statisticamente, possiamo dire che esempi di pilastro Djed a 3 livelli rappresentino circa il 3% di quelli che ci sono pervenuti, quelli a 5 livelli rappresentino circa il 12% di quelli che ci sono giunti, mentre quelli a 4 livelli rappresentino circa l’’85% di quelli che ci sono rimasti.
Poiché il pilastro Djed ha una funzione simbolica lessicale connessa con la stabilità, si può ipotizzare, in tal modo, che i livelli o linee potessero essere correlati al trascorrere del Tempo cronologico.
Per cui, se il periodo proto-dinastico (e, forse, pre-dinastico) viene collocato intorno al 2.700 a. C. circa, mentre l’epoca tolemaica viene datata intorno al 300 a. C. circa, possiamo dedurre che il periodo in cui il pilastro Djed esibiva 4 livelli potesse essere durato canonicamente per circa 2.200 anni. Sempre in via ipotetica, seguendo questo ragionamento, possiamo, perciò, dedurre che il pilastro Djed a 3 livelli fosse durato dal 2.700 a C. circa fino al 4.900 a. C. circa.
Spingendoci ancora oltre, anche se a puro scopo speculativo, svariando in questi teorici e, forse fantasiosi, conteggi, potremmo ipotizzare che un pilastro Djed a 2 livelli potesse, analogamente, essere virtualmente durato dal 4.900 a. C. fino al 7.100 a. C., mentre un pilastro Djed ad un solo livello potrebbe essere durato dal 7.100 a. C. al 9.300 a. C..
Tale data, a questo punto, sarebbe da considerare ipoteticamente come quella dello Zep Tepi, il mitico Primo Tempo, da cui sarebbe iniziata tutta la cosmogenesi egizia.
Segnaliamo, sempre a puro scopo speculativo, che un gradiente di 2.200 anni è matematicamente molto vicino, sempre in ambito cronologico ed astronomico, alla durata di un’epoca precessionale, inserita nell’ambito del concetto della Precessione degli Equinozi, corrispondente a 2.160 anni.
Tale periodo di tempo non appare, infatti, troppo distante dal precedente parametro di 2.200 anni.
Ora, se noi poniamo i livelli o linee del pilastro Djed in possibile correlazione con le epoche precessionali, potremmo delineare il seguente schema:
Djed a 5 livelli > Età precessionale dei Pesci: 100 a. C. > 2.060 d. C.
Djed a 4 livelli > Età precessionale dell’Ariete: 2.260 a. C. > 100 a. C.
Djed a 3 livelli > Età precessionale del Toro: 4.420 a. C. > 2.260 a. C.
Djed a 2 livelli > Età precessionale dei Gemelli: 6.580 a. C. > 4.420 a. C.
Djed ad un livello > Età precessionale del Cancro: 8.740 a. C > 6.580 a. C.
Come possiamo osservare, la prima epoca precessionale sarebbe stata quella del Cancro, con un pilastro Djed ad un sola linea o livello.
Il fatto che alla costellazione del Cancro fosse stata concessa, dagli antichi egizi, una rilevanza del tutto peculiare e significativa, come un ipotetico inizio, appare reale. Essa emerge, effettivamente, in maniera significativa da come essi la rappresentarono negli zodiaci circolari e rettangolari di Denderah, due dei più antichi planisferi celesti che ci sono giunti. Qui la costellazione del Cancro è raffigurata, in entrambi i casi, anche se con duplici modalità rappresentative, fuori dall’allineamento con le altre costellazioni zodiacali presenti. Essa, infatti, risulta posta in una posizione anomala, ma elitaria rispetto alle altre, delineando quasi l’inizio di un possibile movimento a spirale, che potrebbe richiamare, in questo senso simbolico, il concetto di Spirale del Tempo.
Pincherle, inoltre, sosteneva che la parte apicale dello Djed corrispondeva alla Camera del Re ed ai suoi locali sovrapposti, mentre la parte basale della Torre, totalmente nascosta all’interno del corpo della Piramide, giungeva, verso il basso, almeno all’altezza della Camera della Regina, o molto più verosimilmente, poco sopra il livello della base della piramide.
Essa risultava, per il ricercatore, collocata sopra una piccola collinetta, alta una decina di metri, in pieno accordo, peraltro, con la testimonianza di Erodoto (Storie; 2, 124: “επί τού λόφου επ’ού εστάσι αί πυραμίδες”, “…sulla collina sopra la quale sorgono le piramidi”).
Il pilastro Djed ha spesso delle raffigurazioni antropomorfe animate che lo rappresentano con delle braccia che stringono i due scettri, simboli del potere in Egitto: l’Heqa ed il Nekhekh, forse per assimilarlo alla forma simbolica della colonna vertebrale di Osiride. Tra le due braccia del pilastro Djed troviamo poi una sorta di pettorale, fatto di sottili linee parallele che si differenziano dai restanti settori policromi alternati della struttura del pilastro stesso. Questo assetto, insieme ai livelli sovrastanti, 4 per la maggior parte della lunga storia egizia, mostrano, a quanto riferisce lo stesso Pincherle, una straordinaria somiglianza con la Camera del Re ed i suoi stretti e bassi locali sovrastanti.
Tuttavia, se noi continuiamo i discorsi ipotetici, sviluppando le nostre deduzioni precedenti, vediamo come un potenziale pilastro Djed, risalente al 3.480 a.C., data che, secondo Diodoro Siculo, avrebbe visto la costruzione vera e propria della Grande Piramide, avrebbe avuto 3 livelli. Logicamente, infatti, seguendo il precedente schema delle Età Precessionali, notiamo come il 3.480 a.C. finirebbe all’interno dell’Età Precessionale del Toro, la terza dopo quella dei Gemelli e del Cancro.
Se noi consideriamo i locali posti al di sopra della Camera del Re, all’interno della Grande Piramide, vediamo che solo i primi 3 di essi (Camere di Davison, Wellington e Nelson) hanno 2 pareti su 4 costituite da granito, oltre al soffitto ed al pavimento. Infatti i 2 ultimi locali (Camere di Arbuthnot e di Campbell) hanno tutte e 4 le pareti costituite da calcare.
Volendo fare una correlazione fra i potenziali livelli presenti in qualsiasi pilastro Djed, risalente al 3.480 a.C., cronologicamente correlato all’Epoca Precessionale del Toro ed i locali collocati sopra la camera del Re, forniti di 2 pareti su 4 in granito, osserviamo che essi sono sempre 3.
Potremmo così estendere il collegamento fra le Età Precessionali ed i livelli del pilastro Djed a quello dei locali posti sopra la Camera del Re, ottenendo, a puro scopo speculativo e teorico, la correlazione:
Camera di Davison > Età Precessionale del Cancro;
Camera di Wellington > Età Precessionale dei Gemelli
Camera di Nelson > Età Precessionale del Toro, come detto, epoca di costruzione della Grande Piramide.
Tornando all’ipotesi di Pincherle, notiamo come la Camera del Re ed i suoi locali sovrapposti, per il defunto ricercatore, parte visibile della Torre o pilastro Djed, sia posta lievemente fuori asse. Questa Camera, infatti, appare stranamente dislocata verso sud, rispetto all’asse maggiore della Piramide che termina, invece, con assoluta precisione, al centro della sottostante Camera della Regina.
Dando per possibile l’ipotesi teorizzata da Pincherle, vediamo che, in tempi antichi, sopra la piccola collina che avrebbe, in seguito, ospitato la Grande Piramide, vi poteva essere un’alta e stretta torre, o Pilastro Djed, visibile da lontano.
Ci sorge una domanda: quanto tempo fa sarebbe stata eretta questa Torre? Appare estremamente difficile, se non impossibile, anche stilando delle ipotesi per assurdo, cercare di azzardare un’eventuale data che possa rispondere a tale quesito.
L’unico flebile appoggio, in questo senso, ci potrebbe venire proprio dal potenziale aggancio con il 1° livello del pilastro Djed e con la correlazione con le Età Precessionali, integrata dallo speciale trattamento riservato dagli stessi antichi egizi alla costellazione del Cancro ed alla sua Età Precessionale, stimata fra l’8.740 a. C. ed il 6.580 a. C.
E qui ci viene in mente che i fotogrammi di inizio del film di fantascienza Stargate, di cui ho avuto modo di parlare molte volte per la sua incredibile e potenziale inaspettata precisione ed affidabilità, rispetto alle conoscenze dell’Antico Egitto, avverte lo spettatore che la vicenda di inizio della storia ha il suo preludio nell’”8.000 a.C., nel deserto nord africano”, curiosamente, collocata proprio nell’Età precessionale del Cancro.
Ma questa sono soltanto ipotesi e mere coincidenze.
I fatti che, in realtà, sembrano certi e comprovati da fonti documentali, sono quelli che avvennero nel 3.480 a.C. e nel 1.060 a.C., prescindendo dalla teorica presenza, o meno, dello Djed, virtualmente sepolto nel cuore della Piramide stessa, come afferma Pincherle.
Vi sarebbe stata la costruzione nel 3.480 a.C. della Piramide, in gradoni larghi ed alti e la sua trasformazione, mentre, nel 1.060 a. C., essa sarebbe stata trasformata in una Piramide con gradoni stretti e bassi con le lisce lastre di copertura dei lati triangolari della Piramide, venendo ultimata partendo dall’alto.
Ma una recente notizia conferma le interpretazioni dei dati emersi in questi miei studi.
Il mistero (risolto) …della scatola di sigari
È di pochi giorni fa la notizia della recente scoperta, all’interno del Museo di Aberdeen, città della Scozia nord-orientale, di una scatola di sigari, contenenti dei frammenti di legno provenienti dalla Grande Piramide.
Ma andiamo per ordine.
Come ci riporta lo stesso Robert Bauval (Il Mistero di Orione, pag. 259-261) Waynman Dixon, nel novembre del 1872 aveva rotto il diaframma di calcare che occludeva i condotti che ‘uscivano’ dalla Camera della Regina. Egli aveva poi fatto delle esplorazioni, per quanto gli era stato possibile, in questi condotti, ed aveva scoperto, nel condotto nord, un gancio di bronzo, un palla di granito ed un piccolo frammento di legno di cedro lungo circa 12 centimetri. Il fratello di Waynman, John, aveva intrattenuto una corrispondenza epistolare su questi ritrovamenti con l’astronomo scozzese Charles Piazzi Smyth (1819-1900), appassionato delle Piramidi e residente ad Edimburgo.
Il 15 novembre 1872 John Dixon scriveva a Piazzi Smyth: “…Ho portato a casa gli strumenti che (Waynman) ha trovato in uno dei 2 condotti (della Camera della Regina): un gancio di bronzo, una palla di granito senza dubbio del peso di una libbra e 30 once ed il pezzo di un antico cubito lungo 5 pollici”.
Il 23 novembre 1872 Dixon ribadiva: “I reperti sono sistemati in una scatola di sigari e viaggiano su un treno passeggeri. Si tratta di una palla di pietra, un gancio di bronzo ed un legno protetto da un tubo di vetro.”
Il triplice reperto giunse integro a Piazzi Smyth, che il 26 novembre 1872 annotò il fatto nel suo diario, conservato alla Royal Society di Edimburgo, facendo, con la sua nota precisione, uno schizzo a mano di tutti e 3 i reperti. Da questo momento si persero le tracce del frammento di legno di cedro, per più di 147 anni, ipotizzando inutilmente che esso fosse finito al British Museum di Londra, come, al contrario, era successo agli altri 2 reperti.
In realtà il frammento di legno, contenuto nella famosa scatola di sigari, era stato donato al Museo di Aberdeen da un caro amico di Dixon, James Grant (1830-1895), laureato in medicina, che era stato in Egitto per studiare un’epidemia di colera, e che qui aveva frequentato i fratelli Dixon. La figlia di Grant aveva poi donato al Museo di Aberdeen il frammento di legno nel 1946, dove, incredibilmente, esso non era stato inventariato, finendo erroneamente in una sezione di reperti asiatici.
In questo Museo, nel 2019, la ricercatrice Abeer Eladany, che aveva anche lavorato per 10 anni al Museo egizio del Cairo, riordinando i reperti di quest’ala del Museo, dedicata ad oggetti di provenienza asiatica, scorse la scatola di sigari, datata 1637, e che riportava la vecchia bandiera dell’Egitto. Al suo interno vi erano ancora i 5 frammenti di legno, appartenenti al pezzo di legno originale.
Tuttavia, il fatto davvero interessante è che la datazione al radio-carbonio, effettuata su uno di questi frammenti di legno di cedro, ha fornito una datazione compresa fra il 3.341 ed il 3.091 a.C.
Poiché, come detto, il reperto era stato trovato all’interno del condotto nord della Camera della Regina, aperto nella roccia da Waynman Dixon nel 1872 e chiuso dalla Porta Nord, alla sua estremità superiore, (quindi ermeticamente chiuso da entrambi i lati del condotto) appare innegabile come esso sia contemporaneo alla costruzione della Grande Piramide.
Il tentativo di spiegare come la data fornita dall’egittologia ufficiale per la costruzione della Grande Piramide risulti oscillare fra 500 ed 800 anni più tardi di questo frammento di legno, fa ipotizzare agli studiosi spiegazioni tutt’altro che convincenti, od, addirittura, del tutto inconsistenti.
Tuttavia questa datazione al radio-carbonio non appare affatto una novità. Essa, infatti, si inserisce in piena armonia con le datazioni al radio-carbonio effettuate, nel 1986, dal Pyramid Carbon-Dating Project, afferente alla A.R.E., della Cayce Foundation, sotto la sovrintendenza di Mark Lehner. Il frammento di legno, rinvenuto al 198° livello della Piramide (reperto 10B, analizzato presso il laboratorio di Zurigo) fornì una datazione al radio-carbonio di 3.101 +/- 414 a. C., in pratica un lasso di tempo che oscilla fra il 3.515 ed il 2.687 a. C.
Tale periodo cronologico risulta assolutamente compatibile con la recente datazione del frammento di cedro, rinvenuto da Dixon nel condotto nord della Camera della Regina.
La duplice conferma scientifica, mediante la datazione al radio-carbonio, dei due campioni di legno, rinvenuti nella Grande Piramide, ribadisce l’assoluta rilevanza di questo periodo, ma, appare addirittura quasi in pieno rispetto della data dei lavori sulla Grande Piramide proposta dallo stesso Diodoro Siculo (3.480 circa a. C.), che lo rammentiamo, aveva consultato specifici documenti di archivio, come egli stesso aveva affermato (“ώϛ γραφούσι” “come scrivono”), prima di scrivere il suo Biblioteca Storica.
Non siamo in grado di risalire alla data di costruzione ipotetica della Torre o del pilastro Djed o Zed, ammesso che esso sia mai esistito, ormai sepolto da millenni nelle viscere della Grande Piramide, ma questa recente scoperta archeologica fa davvero collimare e coincidere fra loro davvero molti dettagli multi-disciplinari sulla data di costruzione della Grande Piramide, che ho affrontato nel corso di questo mio approfondito studio.
Grazie Massimo per questo tuo pregevole lavoro. Nel libro che sto (ri)scrivendo sulla costruzione della Grande Piramide, sicuramente citerò alcuni tuoi interessanti passaggi…