Shahr-i Sokhta, che significa “La città bruciata”, è il nome dato a un insediamento urbano dell’età del bronzo in quello che ora è il sud dell’Iran. Il sito è stato periodicamente scavato dalla sua riscoperta nel 1900 e nel 2014 è stato riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Fondato all’incirca nel 3200 a.C. e abbandonato intorno al 1800 a.C., l’insediamento subì quattro fasi di costruzione, con tre episodi separati di incendio (da cui il nome). Al suo massimo, copriva almeno 150 ettari, compreso un cimitero di 25 ettari con circa 30.000 sepolture.
Una di queste sepolture, esattamente la numero 6705, conteneva lo scheletro ben conservato di una donna adulta, di età compresa tra 28 e 35 anni.
Per quanto riguarda le altre caratteristiche di questo misterioso scheletro, il responsabile della squadra di ricercatori, ha dichiarato: “Considerando che la maggior parte delle donne vivevano nella Città bruciata durante i tempi antichi erano basse, essendo alta 180 centimetri, questa donna risulta essere la donna più alta che sia mai stata identificata in questo luogo“.
Probabilmente si trattava di una sacerdotessa o di un personaggio sicuramente molto importante.
All’interno della sua tomba c’erano 25 vasi di ceramica, uno specchio in lega di rame, 10 perline di lapislazzuli e turchesi, i resti di una borsa di pelle e un cestino. I materiali organici sono in condizioni tali che è stato possibile identificare frammenti di tessuto sulle ossa, prova che era stata avvolta in un sudario.
L’elemento più sorprendente e unico di questa sepoltura, tuttavia, è stato trovato nella sua cavità oculare sinistra. Un manufatto emisferico di 3 cm, il primo occhio protesico noto nella documentazione archeologica, databile tra il 2900 e il 2800 a.C.
Una scoperta unica
I primi studi antropologici sul cranio della donna hanno rivelato informazioni importanti su questo occhio artificiale.
Sono state immediatamente rilevate le tracce di un ascesso che si formò sotto il sopracciglio e che si diramò all’interno dell’orbita dell’occhio sinistro di questa donna, provocandone la perdita.
Riferendosi al magnifico metodo praticato per realizzare questo occhio artificiale, secondo il capo della squadra di scavi, considerando il peso specifico di questo oggetto, sembra che il materiale principale usato sia costituito da catrame naturale mescolato con grasso animale.
Sono stati creati anche due fori ai lati di questo bulbo oculare per tenerlo nell’orbita oculare e secondo il capo della squadra di scavo, sembra che la borsa di pelle, che è stata trovata all’interno di un cestino di paglia nella tomba, venisse utilizzata per contenere il bulbo oculare artificiale in alcuni casi, ad esempio i periodi di sonno.
L’occhio è stato perfettamente ricostruito. Sulla parte esterna si possono vedere macchie molto piccole di colore bianco. È altamente probabile che l’intera sclera fosse coperta da colore bianco e poi si è sbiadita con il tempo.
L’iride è stata perfettamente ricostruita usando fili d’oro con uno spessore che misura meno di mezzo millimetro e formano una specie di diamante intorno alla pupilla posta al centro del bulbo oculare.
Sicuramente l’occhio con le pagliuzze d’oro brillava al sole o alla luce delle torce, conferendo alla “sacerdotessa “ uno sguardo molto particolare.