Sarah Parcak è un’egittologa, ma il suo laboratorio è più nella Silicon Valley che nella Valle dei Re: scrivanie eleganti, poltrone a sacco, spuntini abbondanti e una fila di schermi di computer. Nel centro di Birmingham, con aria condizionata, non è necessario alzarsi alle 4 del mattino per affrontare il sole del Delta del Nilo. Né è probabile che chiunque lavori qui inali le pericolose spore di letame di pipistrello, o contragga un brutto parassita mentre transita in campi di riso allagati. In questa stanza fresca e tranquilla, dove sono in corso alcune delle più eccitanti esplorazioni moderne del mondo antico, la cosa più vicina a un manufatto storico è il grosso computer della Parcak, che non ha avuto il tempo di sostituire negli ultimi sette anni.
Sfruttando differenze sottili e, a occhio nudo, spesso invisibili nella topografia, nella geologia e nella vita vegetale, Parcak, una 38enne dell’Università dell’Alabama, ha usato le immagini satellitari e altri strumenti di telerilevamento per esporre una straordinaria gamma di siti dimenticati da più culture perdute. In Egitto, la sua area di specializzazione, lei e il suo team hanno ampliato il raggio noto di questa civiltà, individuando più di 3000 antichi insediamenti, più di una dozzina di piramidi e oltre un migliaio di tombe perdute.
Dopo la primavera araba, nel 2011, ha creato, via satellite, una mappa delle razzie nel paese unica nel suo genere, documentando come le tombe saccheggiate apparissero prima come piccoli brufoli neri sul paesaggio e poi si diffondessero come un’eruzione cutanea. Ha segnalato le rovine di un anfiteatro nel porto romano di Porto agli archeologi che avevano trascorso tutta la loro carriera scavando al di sopra di esso, ha mappato l’antica capitale della Dacia e, utilizzando i dati della fotocamera iperspettrale, ha aiutato nella ricerca in corso per fossili di ominidi preistorici nei fondali erosi dei laghi del Kenia.
Solo quest’anno, le sue immagini satellitari hanno rivelato, nella desolata Terranova, quello che molti credono essere il secondo sito vichingo noto in Nord America, oltre a una gigantesca piattaforma cerimoniale a Petra che milioni di visitatori della famosa città giordana, di cui non pochi sono ricercatori professionali, hanno completamente mancato.
Nel frattempo, continua a imbattersi in nuove scoperte, a volte mentre sfoglia pigramente Google Earth sul suo iPhone all’aeroporto.