Recandosi in visita al British Museum si ha occasione di osservare la cosiddetta Tavoletta del Diluvio che così viene descritta nella relativa didascalia:
Frammento di una tavoletta di argilla, angolo superiore destro, 2 colonne di iscrizioni su entrambi i lati, 49 e 51 linee + 45 e 49 linee.
Neo-Assiro. Epica di Gilgamesh, tavoletta 11, Storia del Diluvio.
7° secolo a.C.
Il contenuto di questa tavoletta è stato particolarmente importante ed ha acceso un dibattito che ha messo in dubbio tutto ciò che si era pensato fino a quel momento sulla storia raccontata dalla Bibbia.
Ciò poiché si è appreso che sulla tavoletta era incisa la storia di un Diluvio molto simile a quello della Bibbia e questo (considerati i numerosi miti analoghi trasmessi da molte altre civiltà) ha portato ad ipotizzare l’esistenza di un evento reale che abbia colpito gran parte della Terra.
Mentre la storia del diluvio biblica, la storia di Noè, dell’arca e della sua discendenza, è nota da molti secoli e fa parte della nostra cultura, quella assira, di origine sumera, era sconosciuta fino a 150 anni fa.
La storia del ritrovamento
Agli inizi del XIX secolo la civiltà assira era praticamente sconosciuta, le costruzioni, i palazzi, le sculture, le tavolette erano completamente coperte da terra e nessuno sapeva fossero lì.
Henry Austen Layard era un avventuriero e diplomatico inglese che nel 1830 iniziò a viaggiare a cavallo in medioriente, più che altro per scappare dall’Inghilterra, troppo conservatrice per le sue idee.
Nel 1845 Layard, colpito dalle colline di terra poste nel deserto, chiamate tell, cominciò gli scavi nella collina di Nimrud da cui vennero alla luce le mura di due palazzi assiri di cui uno riconducibile al re assiro Assurnasirpal. Austen Henry Layard era convinto di aver trovato l’antica città di Ninive ed invece si era imbattuto nella città di Calah (città che viene nominata anche nella Bibbia con il nome di Kalakh – Calah).
Layard scoprì anche il palazzo di Sennacherib a Kouyunjik e nel 1849 assunse come braccio destro Hormudz Rassam, un archeologo dell’impero ottomano. Insieme iniziarono una campagna di scavi che portò alla luce meraviglie inaspettate.
Dopo varie vicissitudini nel 1952 Rassam riuscì a penetrare, a Ninive, nella Biblioteca Reale di Assurbanipal, ultimo grande re dell’Impero Neo-assiro, dove rinvenne una collezione di più di 20.000 tavolette d’argilla e frammenti contenenti testi di ogni tipo datati al VII secolo a.C..
La maggior parte delle tavolette furono portate in Inghilterra e si trovano ora presso il British Museum.
Tra queste tavolette c’era un frammento che sarebbe diventato tavoletta n.XI dell’Epopea di Gilgamesh, o Tavoletta del Diluvio.
Ma c’erano così poche persone al mondo in grado di leggere gli antichi testi in cuneiforme che il frammento rimase indisturbato nel Museo per quasi 20 anni.
La decifrazione
A quel tempo al British Museum lavorava George Smith che ripuliva e classificava le migliaia di frammenti di tavolette nei magazzini del museo.
George Smith era un autodidatta che aveva lavorato come apprendista presso un incisore di banconote. Ossessionato dagli Assiri e dal cuneiforme, nelle ore della pausa pranzo andava nella sala lettura del British Museum e tentava di decifrare le tavolette. In questo modo aveva imparato a tradurre da solo diventando uno dei principali conoscitori del cuneiforme dell’epoca. Riconoscendone il talento naturale Sir Henry Rawlinson, il padre dell’assiriologia, lo portò a lavorare al Museo.
Un giorno, nel 1872, si ritrovò tra le mani una tavoletta e subito capì l’importanza di ciò che vi era scritto. Balzò in piedi, girò per la stanza ed esclamò:
“Sono il primo uomo ad aver letto questo dopo 2.000 anni di oblio.”
Le conseguenze della scoperta
Pochi avrebbero potuto prevedere la tempesta mediatica che si sarebbe scatenata quando la scoperta dell’Epopea di Gilgamesh fu presentata in anteprima nel The Daily Telegraph il 14 novembre 1872.
Smith preparò rapidamente un documento da presentare alla Society of Biblical Archaeology e qui raccontò al suo pubblico come aveva letto di una nave che si riposava su una collina
“seguita dal racconto dell’invio della colomba, e dal fatto che non trovava posto di riposo e ritorno.”
In altre parole, aveva scoperto un racconto babilonese del diluvio biblico ma la cosa più interessante e sorprendente era che era stata scritta 400 anni prima della più vecchia versione scritta della storia biblica.
Ciò indicava che la storia biblica non era unica e non era la prima ma aveva attinto ad una serie di conoscenze precedenti.
Inizialmente, la scoperta dell’Epopea di Gilgamesh incoraggiò gli studiosi dell’età vittoriana a rivisitare quello che ora potremmo chiamare il dibattito sul creazionismo.
Questo ritrovamento pose seri dubbi sulla teoria allora in voga secondo cui il Diluvio era avvenuto nel 2348 a.C.., secondo la valutazione “scientifica” dell’arcivescovo anglicano James Ussher.
Anche la storia naturale ne fu influenzata e l’Epopea entrò a far parte di una nuova filosofia che postulava un’età ancora maggiore per la Terra di quanto fosse stato fino ad allora stimato.
L’Epopea di Gilgamesh divenne uno dei reperti archeologici più importanti del XIX secolo e rimise in discussione tante certezze storiche e scientifiche.
Ancora oggi, è il poema epico più antico che abbiamo.
Fonti:
https://www.telegraph.co.uk/history/10321147/The-tragic-tale-of-George-Smith-and-Gilgamesh.html