Oggi il Makgadikgadi è un’area desertica del Botswana, ma 200.000 anni fa era un ambiente umido e lussureggiante che avrebbe ospitato i primi esseri umani anatomicamente moderni.
A sostenerlo è uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, uno studio che ha unito le discipline della genetica, della geologia e della fisica climatica per riscrivere i primi 100.000 anni della storia umana.
Basato sul DNA mitocondriale, tramandato di madre in figlia, gli autori del documento sostengono che siamo tutti discendenti da una piccola comunità di cacciatori-raccoglitori Khoisan che viveva 200.000 anni fa in vaste zone umide che abbracciavano il delta dell’Okavango del Botswana e le regioni del Makgadikgadi.
Un po’ di geografia tanto per orientarci
Il Delta dell’Okavango è uno dei più estesi sistemi idrici interni del mondo. Le sue sorgenti partono dalle alture occidentali dell’Angola, che insieme a numerosi affluenti formano il fiume Cubango, che giunge in Namibia col nome di Kavango e finalmente entra in Botswana, dove prende il nome di Okavango.
Milioni di anni fa l’Okavango scorreva fino ad un lago interno chiamato lago Makgadikgadi, ora divenuto la distesa desertica di Magkadikgadi Pans.
L’attività tettonica e le faglie interruppero il corso del fiume causando l’odierna stagnazione che oggi forma il Delta. Questo ha creato un unico sistema di acque che supporta un ecosistema di fauna e flora, al posto di quella che sarebbe stata la savana arida del Kalahari. Qui il movimento degli animali è generalmente regolato da acqua e cibo.
Analogamente il cambio delle stagioni è regolato solo da questi due fattori: periodo umido e periodo secco.
Il parco di Makgadikgadi rappresenta un’attrazione suggestiva proprio per la desolazione che lo contraddistingue durante buona parte dell’anno. Migliaia di chilometri di saline striate di bianco, che si arrostiscono al Sole tra il deserto del Kalahari e l’arida savana del Botswana. Volandoci sopra si possono riconoscere i contorni delle placche tettoniche, che muovendosi hanno cambiato la geografia di questa terra e forse la storia dell’uomo.
La culla degli Homo Sapiens
Gli autori dello studio propongono che i cambiamenti nel clima africano abbiano innescato le prime esplorazioni umane, che hanno avviato lo sviluppo della diversità genetica, etnica e culturale umana.
“È chiaro ormai da qualche tempo, che gli umani anatomicamente moderni sono apparsi in Africa circa 200 mila anni fa. Ciò che è stato a lungo dibattuto è la posizione esatta dove sarebbero emersi i primi Homo Sapiens -Sapiens e quale fu il percorso della loro successiva dispersione”, afferma la professoressa Vanessa Hayes dal Garvan Institute of Medical Research e University of Sydney, e professore straordinario presso l’Università di Pretoria.
Il DNA mitocondriale
Si prova ad indagare grazie al “DNA Mitocondriale” tramandato di madre in figlia.
Il Dna mitocondriale è molto più piccolo e semplice di quello del nucleo cellulare. I mitocondri hanno una caratteristica importante: poiché sono presenti solo nelle cellule complete, non ci sono negli spermatozoi, le cellule sessuali maschili. Per questo sono trasmessi solo dalla madre. Quindi, a differenza del Dna del nucleo, durante la riproduzione il Dna del mitocondrio non va incontro a nessuna ricombinazione con la corrispondente molecola dell’altro sesso. È quindi possibile seguire la sorte dei mitocondri in un’ascendenza matrilineare.
La ricerca scientifica ha approfittato di queste peculiarità del Dna mitocondriale in una serie di studi sulle ascendenze della nostra e di altre specie.
Il DNA come capsula del tempo
Il DNA mitocondriale si comporta come una capsula del tempo delle nostre madri ancestrali, accumulando lentamente cambiamenti nel corso delle generazioni.
Il confronto del codice DNA completo o mitogenoma di diversi individui fornisce informazioni su quanto siano strettamente collegati.
Nel loro studio, la professoressa Hayes e i suoi colleghi hanno raccolto campioni di sangue per stabilire un catalogo completo dei primi mitogenomi dell’essere umano moderno dal cosiddetto lignaggio “L0”.
Combinando la linea temporale del lignaggio L0 con le distribuzioni linguistiche, culturali e geografiche di diversi sotto-lignaggi, gli autori dello studio hanno rivelato che 200 mila anni fa, il primo lignaggio materno Homo sapiens sapiens emerse in una “patria” a sud del bacino del fiume Zambesi, che comprende l’intera distesa del Botswana settentrionale in Namibia a ovest e lo Zimbabwe a est.
Proseguendo con l’analisi del DNA mitocondriale è emersa una significativa divergenza genetica nei primi sotto-lignaggi materni degli umani moderni, “il che indica che i nostri antenati sono emigrati dalla patria tra 130 e 110 mila anni fa”, spiega la professoressa Hayes. “I primi migranti si sono avventurati a nord-est, seguiti da una seconda ondata di migranti che hanno viaggiato a sud-ovest. Una terza popolazione è rimasta in patria fino ad oggi.”
Prove geologiche, archeologiche e fossili
Indagando tra le prove geologiche, archeologiche e fossili esistenti alla ricerca di conferme, il geologo Dr. Andy Moore, dell’Università di Rodi, ha rivelato che la regione di origine ospitava un tempo il più grande sistema lacustre mai realizzato in Africa, il Lago Makgadikgadi.
Prima dell’emergere dell’uomo moderno, il lago sembrerebbe avesse iniziato a prosciugarsi a causa dei cambiamenti nelle placche tettoniche sottostanti. Ciò avrebbe creato, una vasta zona umida, che “è noto per essere uno degli ecosistemi più produttivi per sostenere la vita”, afferma Dr Moore.
L’ecosistema umido ha probabilmente fornito un ambiente ecologico stabile per i primi antenati degli umani moderni a prosperare per 70 mila anni.
Fisica climatica
Per indagare su ciò che potrebbe aver guidato queste prime migrazioni umane, il Professor Axel Timmermann, direttore del Centro IBS per la fisica climatica presso la Pusan National University, ha analizzato simulazioni di modelli di computer climatici e dati geologici, che catturano la storia climatica del Sud Africa dei passati 250 mila anni.
Le simulazioni confermano che la lenta oscillazione dell’asse terrestre ha cambiato l’irraggiamento delle radiazioni solari estive nell’emisfero australe, portando a periodici spostamenti delle precipitazioni in tutto il Sud Africa.
Durante i primi 70.000 anni, la migrazione è stata probabilmente limitata da condizioni aspre e secche nel paesaggio circostante. Ma circa 130.000 anni fa, un periodo di aumento delle precipitazioni ha aperto un corridoio verde e ricco di vegetazione, acqua e selvaggina, prima verso nord-est, e poi circa 110 mila anni fa a sud-ovest, permettendo ai nostri primi antenati, comunità di cacciatori-raccoglitori, di emigrare dalla patria d’origine per la prima volta. Infatti dallo studio comparato è emerso che contrariamente ai migranti nord-orientali, gli esploratori sud-occidentali sembrano prosperare, sperimentando una crescita costante della popolazione.
Tesi discussa
James Cole, un archeologo dell’Università di Brighton in Inghilterra, che non è coinvolto nel nuovo studio, elogia Hayes e i suoi colleghi per il loro approccio interdisciplinare alla comprensione dell’evoluzione mitocondriale, ma osserva anche che il loro documento trascura importanti testimonianze archeologiche, come i resti scheletrici di 315.000 anni fa di un umano anatomicamente moderno recentemente trovato in Marocco. La professoressa Hayes risponde che il suo studio si concentra solo sulla popolazione di antenati diretti di “persone viventi oggi”, e in assenza di prove genetiche dagli esemplari del Marocco, la connessione con gli esseri umani viventi è sconosciuta.
Milford Wolpoff, un paleoantropologo presso l’Università del Michigan, che non è coinvolto nel nuovo lavoro, sostiene allo stesso modo che le prove presentate dai suoi autori sono troppo esigue. Affidarsi esclusivamente all’evidenza mitocondriale porta a un’interpretazione errata, dice, e rischia di trascurare importanti informazioni evolutive nel DNA separato del nucleo cellulare. La nostra eredità diffusa di geni di Neandertal si manifesta, ad esempio, solo nel DNA nucleare ed è completamente assente dal mitogenoma. Allo stesso modo, afferma Wolpoff, “il genoma nucleare, con tre miliardi di paia di basi, potrebbe raccontare una storia completamente diversa sull’origine africana degli umani moderni da quanto suggeriscono le 16.000 paia di basi del mitogenoma”.
Abbiamo a che fare con un puzzle di un milione di pezzi”, afferma Cole, “e probabilmente abbiamo messo studiato i primi 100”. La paleogenetica ha “aumentato esponenzialmente la scala della complessità”, aggiunge. “Dalla documentazione paleontologica e archeologica, si trattava di un puzzle di 1.000 pezzi.” Ma invece di fornire una risposta grandiosa alla storia di origine umana, Cole suggerisce, finora, la genetica ci sta mostrando principalmente quanto sia complessa quella storia.
Fonte:
https://phys.org/news/2019-10-homeland-modern-humans.html